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"Da dove vieni? - Dall'altro mondo. Dove vai? - All'altro mondo. E che cosa fai a questo mondo? - Me ne prendo gioco. Mangio del suo pane e compio l'opera dell'altro mondo”.
Rabia

RABIA, LA MISTICA SUFI INNAMORATA DI DIO

  • | Giulietta Bandiera | Misteri

Fra storia e leggenda, la vicenda umana e spirituale di una donna considerata la prima e più grande mistica sufi.

 Il Sufismo è la via mistica della religione islamica, dottrina unica nel suo genere e un mezzo raffinato per giungere a Dio. L’esperienza mistica è caratterizzata dalla meditazione e da una disciplina rigorosa fatta di rinunce, digiuno e altre pratiche il cui scopo ultimo è quello di giungere all’Esperienza dell’amore e della bellezza divina. I grandi maestri del culto, da che mondo è mondo, appartengono però al sesso maschile, anche se pochi sanno che la madre di questa affascinante dottrina spirituale fu in realtà una donna straordinaria.

Il suo nome era Rābiʿa al-Baṣrī, detta Rabia ed era nata a Bassora, nell’attuale Iraq, quarta figlia di una famiglia poverissima, nell’ottavo secolo dell’epoca cristiana, sembra fra il 713 e il 717 d.C. Oltre che una mistica eremita e una poetessa, pare sia stata anche una cortigiana, suonatrice di flauto, cantante e danzatrice, cosa che nel contesto storico e sociale nel quale si muoveva, la faceva guardare con un certo disprezzo. In realtà è oggi considerata la più famosa e venerata donna sufi, il cui merito più grande è stato quello di elevare le donne al rango di ascete, trascendendo la disuguaglianza sessuale grazie alla pratica spirituale.

UNA FIGURA STORICA E LEGGENDARIA

Il poco che si sa di Rabia e della sulla sua esistenza terrena è frutto di racconti tramandatisi nei secoli, in un continuo avvicendarsi di storia e leggenda. La fonte più accreditata da cui è possibile trarre informazioni sul suo conto è il poeta sufi Aṭṭar, che nel XIII secolo ne tramandò la vicenda umana nell’opera Storie e detti di Rabia.

L’INFANZIA DIFFICILE

Si narra che la notte in cui Rabia venne al mondo, sua madre avesse chiesto al marito di andare dai vicini a domandare un po’ di petrolio per accendere una lampada. Troppo orgoglioso per chiedere quell’elemosina, l’uomo non aveva osato chiedere quel favore e se n’era andato a letto con un grande senso di colpa per non essere riuscito a provvedere alle esigenze della propria famiglia. Addormentatosi, vide però in sogno il profeta Maometto, il quale gli disse: “Non rattristarti, poiché questa tua figlia è una grande santa, la cui intercessione sarà utile a innumerevoli persone». Consigliò quindi al pover’uomo di mandare una lettera all’emiro di Basra, nella quale gli avrebbe ricordato di non aver detto le preghiere promesse al Profeta e di dover fare ammenda dandogli quattrocento dinar, una cifra molto considerevole per quei tempi. Profondamente colpito da quella visione, il padre della futura profetessa si svegliò in lacrime e, benché fosse timoroso di farlo, decise di seguire il consiglio del profeta e di scrivere la lettera. Dopo averla letta, l'emiro ricordò di aver mancato al suo voto e chiese di incontrare il mittente e di dargli per penitenza quanto richiesto. Ma questo fu soltanto il primo dei tanti miracoli che costellarono la vita di Rabia.

SCHIAVA E CORTIGIANA

Secondo quanto tramandato da Aṭṭar, la bimba rimase orfana molto presto a causa di una grande carestia, che la separò anche dall’affetto di un’amata sorella. Rimasta sola, mentre vagabondava senza meta, venne rapita da un mercante di schiavi, il quale la vendette per una somma minima (sei dirham) a un ricco signore che la impiegò in casa propria come serva, imponendole i lavori più umili. Come detto, essa divenne quindi una cortigiana, fino al momento in cui, nella più grande sofferenza, volse gli occhi al cielo in cerca di aiuto e consolazione.

LA VOCAZIONE SPIRITUALE

Non si sa esattamente quando la sua vocazione si manifestò, ma da allora la giovane prese a digiunare e a trascorrere notti insonni, pregando fervidamente invece di riposare.

La leggenda vuole che, proprio in una di quelle notti, il suo padrone la sorprese mentre pregava circonfusa da una luce celestiale e riconoscendo la sua santità, decise dunque di ridonarle la libertà.

Fu allora che Rabia si isolò nel deserto, vivendo il resto della sua vita in ascesi, meditazione e preghiera, utilizzando per lodare Dio anche la poesia e la musica.

«Strappai dal mio cuore ogni attaccamento alle cose del mondo
e distolsi il mio sguardo da ogni realtà mondana»
(Rabia)

LA SCELTA ASCETICA

Contro il parere della tradizione islamica, la fede di Rabia la indusse a scegliere di non prendere marito, sebbene in molti l’avessero chiesta in sposa (incluso, secondo il mito, lo stesso emiro). E a chi le domandava ragione di quella scelta radicale, ella rispondeva di non avere tempo per nessun altro che per l’amato del suo cuore: Allah.

«L'amore di Dio ha riempito il mio cuore a tal punto
che non è rimasto posto per amare o detestare nessun altro».
(Rabia)

“Mio Signore, in cielo brillano le stelle,
gli occhi degli innamorati si chiudono.
Ogni donna innamorata è sola col suo amato.
E io sono sola qui con te”.
(Rabia)

Fu proprio Rabia, ad introdurre nel culto sufi il concetto di amore passionale per la divinità, la quale, in questo modo, si faceva più prossima all’essere umano.

In quanto alla povertà, un’altra delle sue scelte estreme, che la induceva a vivere di stenti in una misera capanna, confidando solo nell’aiuto di Dio per sopravvivere, essa la motivava confessando di vergognarsi letteralmente di qualsiasi possesso.

“Niente a questo mondo ci appartiene,
tutto è solo in prestito”.
(Rabia)

La sua unica ricchezza era per Rabia il suo stesso cuore, sede di quell’amore che era il solo possibile collegamento fra lei e Dio.

«Io custodisco il cuore
e non permetto che ne esca nulla di ciò che è dentro di me,
né che entri nulla di ciò che ne è fuori».
(Rabia)

“In amore non c'è nulla tra cuore e cuore”.
(Rabia)

In compenso la mistica si dedicò sempre amorevolmente agli altri, per i quali operò miracoli a profusione.

Racconta ancora Aṭṭar che alcune persone andarono a trovarla una notte perché sprovviste di lampade. La santa si mise allora in bocca la punta delle dita e queste ultime divennero così luminose da accompagnare i visitatori con la loro luce fino all'alba.

NESSUN MAESTRO

Nonostante la sua esistenza ritirata, la fama e l’insegnamento di Rabia si diffusero ben presto non solo fra la gente comune, ma anche fra molti dei sapienti del suo tempo, che la consideravano una vera e propria autorità spirituale e cercavano spesso il suo consiglio, sentendosi privilegiati di poterla avvicinare.

Lei invece non ebbe mai maestri, una consuetudine in genere molto diffusa nella tradizione sufi, rivolgendosi direttamente ad Allah in cerca di istruzione e orientamento.

“Dio solo dev'essere cercato,
e tutto ciò che non è Dio
è idolo ed è vano”.
(Rabia)

L’INTIMITÀ CON DIO

Benché pregasse di continuo, le sue preghiere non erano mai finalizzate all’intercessione di Dio nelle vicende umane, ma sempre alla comunione profonda con Lui e alla possibilità di conoscerlo intimamente e di condividerne, nel più totale affidamento, la visione e la volontà.

“Non ti ho servito desiderando il tuo paradiso.
Il paradiso stesso non è nulla rispetto a Colui che lo abita.
L’abitante viene prima della casa””.
(Rabia)

Un insegnamento quest’ultimo trasformatosi più tardi in un proverbio: molto diffuso nel mondo arabo.

Rabia trasmise di fatto ai suoi contemporanei un modo tutto nuovo di venerare Dio, senza timore e senza aspettative. Per amore e soltanto per amore, come lei lo amava.

Un tipo di amore, quest’ultimo, che ha indotto gli studiosi a paragonarla ad altre figure femminili della cristianità, da Maria Maddalena a santa Teresa d’Avila.

“Non servirò Dio come fa un lavoratore,
in attesa del mio salario”.
(Rabia)

“O Dio! Se io Ti adoro per paura dell'Inferno,
bruciami all'Inferno;
e se Ti adoro con la speranza del Paradiso,
escludimi dal Paradiso;
ma se Ti adoro per Te stesso,
non rifiutarmi la Tua Bellezza eterna!”
(Rabia)

Fin dal primo giorno,
mi hai riportato in vita.
…E anche se mi scacciassi dalla tua porta,
ti giuro che non ci separeremo mai
perché tu vivi nel mio cuore.
(Rabia)

La grande mistica sufi morì all’età di ottant'anni, senza aver mai sollevato il capo – dice ancora la leggenda – tanta era la sua umiltà e sottomissione al divino.

Pare che le sue spoglie riposino a Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi, un luogo di sepoltura riservato ai pii musulmani, dove la sua tomba divenne, nel mondo antico, mèta di ininterrotti pellegrinaggi.

L’EREDITA’

Dopo l’esperienza di Rabia il Sufismo aprì le porte anche alle donne, che, proprio come gli uomini poterono da allora riunirsi in confraternite, per svolgere le pratiche sacre, proprio come gli uomini, anche se l’Islamica vieta ancora a uomini e donne di pregare insieme.